Le novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco in materia di responsabilità medica

 In Motus per la stampa

Sempre più frequentemente la cronaca registra, purtroppo, denunce di casi, veri o presunti, di medical malpractice, che hanno enormemente accresciuto il contenzioso in materia. Dall’altro lato, di converso, assistiamo ad una sempre maggiore diffusione della “medicina difensiva”, con le conseguenti ripercussioni, non solo in termini di costi del SSN, di lunghi tempi di degenza, ma, soprattutto, in termini di efficienza della stessa azione sanitaria.

Tutto ciò denota principalmente un mutamento della relazione medico-paziente. Se, in passato, il medico godeva di una fiducia illimitata, oggi, invece, una maggiore consapevolezza e la rivendicazione del potere di autodeterminazione dell’individuo hanno messo in crisi il modello tradizionale, c.d. ippocratico, e portato, anche sul piano giuridico, ad elaborare una serie di garanzie a favore del paziente.

Con l’intento di ripristinare un punto di equilibrio tra la posizione del paziente e quella dell’esercente la professione sanitaria è recentemente intervenuta la L. 8 marzo 2017 n. 24, Legge Gelli-Bianco, che segue il D.L. 13 settembre 2012 n. 158, conv. con mod. nella L. 8 novembre 2012 n. 189, Legge Balduzzi.

Tra gli obiettivi delle nuove disposizioni viene prevista la “sicurezza delle cure e della persona assistita”, come si legge non solo nella denominazione della legge, ma anche nella rubrica dell’art.1 ed ancora nell’incipit del medesimo articolo. Tale finalità, che trova il proprio fondamento nel diritto costituzionale della salute ex art. 32 Cost., viene perseguita mediante l’insieme di attività volte “alla prevenzione” e alla gestione del rischio sanitario. Si tratta di obiettivi che il legislatore aveva già rappresentato con la Legge di Stabilità 2016 come un “Interesse primario” del SSN, in quanto il conseguimento di tali obiettivi consente una maggiore “appropriatezza delle risorse disponibili” e garantisce la “tutela del paziente” (art. 1, comma 538, L. 28 dicembre 2015 n. 208).

Viene, pertanto, rafforzata una politica di gestione dei rischi, nell’ottica della quale vanno ricondotti l’istituzione in ogni Regione del “Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente” (art. 2, Legge Gelli-Bianco), che raccoglie i dati sui rischi e sul contenzioso a livello regionale, e l’istituzione dell’”Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità”, (art. 3, Legge Gelli-Bianco), che, acquisiti tali dati, ha il compito di individuare idonee misure di prevenzione e gestione del rischio.

È chiaro, in tale contesto, l’intento del legislatore di prestare una “tutela del paziente”, anticipata ad una efficace attività di prevenzione del rischio clinico, che dovrebbe tradursi negli obiettivi in uno strumento deflattivo del contenzioso.

In quest’ottica va inquadrata la disciplina della gestione del rischio sanitario, l’allocazione delle relative responsabilità e la corrispondente tutela del danneggiato.

In materia penale vengono ridisegnate le fattispecie di omicidio colposo ex art. 589 c.p. e di lesioni personali colpose ex art. 590 c.p., quando tali reati sono commessi “nell’esercizio della professione sanitaria”. L’art. 6 della nuova legge introduce l’art. 590 sexies c.p., ove, ferma restando la responsabilità del sanitario per negligenza ed imprudenza, viene introdotta una causa di non punibilità, qualora tali eventi si siano verificati a causa di imperizia, ma siano state rispettate le linee guida previste in materia e le buone pratiche clinico-assistenziali.

L’art. 5 della Legge Gelli-Bianco definisce le modalità di elaborazione e pubblicazione delle linee guida. Tanto tale norma quanto il successivo art. 6, introduttivo del nuovo art.  590 sexies c.p., fanno però salva la “specificità del caso concreto”.

Interessante la lettura data, a riguardo, dalla Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, nella recente sentenza del 7 giugno 2017 n. 28187. La Corte, dopo un’ampia riflessione, che non ha mancato di evidenziare anche gli aspetti più controversi e contraddittori della riforma, chiarisce il significato delle nuove disposizioni proprio alla luce delle “finalità della nuova legge: sicurezza delle cure “parte costitutiva del diritto alla salute” e corretta gestione del rischio clinico”. Da una parte, la volontà di regolare lo svolgimento dell’attività sanitaria in modo conforme ad evidenze scientifiche controllate, per superare le incertezze avute in passato riguardo l’individuazione delle direttive scientificamente qualificate, dall’altro, la consapevolezza che si tratta pur sempre di direttive di massima, che devono confrontarsi con le peculiarità del caso concreto.

L’esatta interpretazione di tale disposizione è di fondamentale importanza, non solo perché esclude la punibilità in campo penale, ma anche perché la condotta del sanitario, valutata ai sensi dell’art. 5 della nuova legge e dell’art.  590 sexies c.p.,  introdotto dal successivo art. 6, diviene elemento, di cui il giudice terrà conto “nella determinazione del risarcimento del danno” in sede civile.

Sul piano civilistico l’art. 7 della Legge n. 24/2017 adotta il sistema del “doppio binario”, prevedendo la responsabilità civile sia della struttura che del sanitario, ma con disposizioni, che costituiscono oggi norme imperative, in cui sono diversamente disciplinate le due ipotesi di responsabilità.

La  struttura sanitaria risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., pertanto, la responsabilità di quest’ultima viene inquadrata nell’ambito della responsabilità contrattuale. A riguardo, del resto, anche in passato si era avuto un orientamento uniforme, sia in dottrina che in giurisprudenza, che aveva ricondotto il rapporto tra struttura sanitaria e paziente al “contratto atipico di spedalità” (si veda, ex multis, Cass. sent. n. 21090/2015).

Diversamente per il sanitario, il quale, salvo che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente, risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c., quindi a titolo di responsabilità extracontrattuale. Viene, pertanto, superato il tradizionale orientamento, che aveva inquadrato la responsabilità del medico nell’ambito della responsabilità di natura contrattuale, e, specificatamente, “da contatto sociale” (Cass. sent n. 589/1999), orientamento ancora seguito da una parte della giurisprudenza anche dopo la Legge Balduzzi, in cui il richiamo all’art. 2043 aveva dato luogo ad alcuni contrasti giurisprudenziali anche all’interno di uno stesso Tribunale (cfr. Trib. Milano sent. 17.07.2014 n. 9693 e Trib. Milano sent. 18.11.2014 n. 13574).

Ricondurre la responsabilità del sanitario nell’ambito della responsabilità extracontrattuale anziché in quella contrattuale non ha, però, valenza meramente teorica, ma, al contrario, ha precise ripercussioni sul piano pratico. Diverso è, infatti, il termine di prescrizione entro il quale il paziente, che asserisce di aver subito un danno, deve agire: 5 anni in caso di responsabilità extracontrattuale, 10 anni in caso di responsabilità contrattuale. Diverso è anche il regime dell’onere della prova, che nel primo caso grava interamente sul soggetto danneggiato, mentre, nella seconda ipotesi, resta a carico del convenuto l’onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da impedimento non prevedibile né prevenibile con la diligenza del caso.

Si è tentato, pertanto, almeno negli intenti, di concentrare la responsabilità, principalmente, in capo alle strutture sanitarie, queste ultime potranno poi proporre azione di rivalsa, ai sensi dell’art. 9 Legge Gelli-Bianco, nei confronti del sanitario, ma “solo in caso di dolo o colpa grave”, nel rispetto di precisi termini di decadenza. Si è così, almeno nelle intenzioni del legislatore, cercato di costruire un clima più sereno, in cui il sanitario può operare, e porre un freno alla c.d. “medicina difensiva”. In tale contesto va ricondotto anche un rafforzamento degli strumenti deflattivi del contenzioso in materia con la previsione, ai sensi dell’art. 8 della Legge cit., di una consulenza tecnica preventiva a scopi conciliativi, come condizione di procedibilità della domanda di risarcimento, ferma restando, in alternativa, la possibilità di esperire il procedimento di mediazione.

Per converso, si è cercato di garantire il paziente già nella fase di prevenzione e gestione del rischio, che dovrebbe tradursi negli obiettivi in una “sicurezza delle cure e della persona assistita”. Sul piano del contenzioso, ferma restando per il paziente la più favorevole disciplina della responsabilità contrattuale da far valere in capo alle strutture sanitarie, è stato previsto a livello normativo un generale obbligo di copertura assicurativa, tanto per le strutture sanitarie che per i sanitari, ed è stato istituito un Fondo di garanzia, che ne completa la tutela. Infine, in tale contesto è stata riconosciuta al soggetto danneggiato la possibilità di esperire un’azione diretta nei confronti delle rispettive imprese di assicurazione.

avv. Maria Stimoli

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